giovedì 30 luglio 2015

19 errori che un master deve evitare

(c) by Ralph Horsley
Non sempre è facile fare il master. Bisogna preparare la sessione, creare l'ambientazione, pianificare gli intrighi ed i combattimenti, oltre ovviamente ai problemi del mondo reale come la gestione dei giocatori, la pianificazione delle serate di gioco e la ricerca di un luogo adatto per giocare.

Nel libro Dungeon Master’s Guide, la Wizards of the Coast fornisce alcuni utili suggerimenti ai novelli master. Il concetto è "conosci i tuoi giocatori".

In base a questi suggerimenti è stata posta la domanda "Quali sono i tre errori più comuni compiuti dai master alle prime armi?" su Reddit e la Roleplaying Games community di Google+ . Il post iniziava offrendo tre suggerimenti e la richiesta alla comunità di aggiungerne altri.

Voi quali suggerimenti avreste aggiunto?
  1. Non includere nel gioco il feedback dei giocatori. Include ovviamente non considerare affatto le richieste dei giocatori.
  2. Sottovalutare la preparazione della sessione. Puoi improvvisare gran parte del gioco, ma non puoi improvvisare tutto il gioco per tutto il tempo - specialmente se sei un master alle prime armi.
  3. Sopravvalutare la preparazione della sessione. Il gioco di ruolo deve essere divertente. Essere un master non deve occupare tutto il tuo tempo libero, senza considerare che qualsiasi livello di preparazione non è mai abbastanza quando si ha a che fare con i giocatori.
Questi sono i suggerimenti arrivati dalla comunità:
  1. Approcciare al gioco come avversario dei giocatori invece di essere un loro collaboratore, come dovrebbe essere.
  2. Lasciar decidere ai dadi quello che potrebbe essere narrato come parte della storia.
  3. Raccontare i fallimenti in modo noioso, come ad esempio il solito "non succede nulla".
  4. Non fornire abbastanza informazioni. I giocatori hanno bisogno di informazioni per prendere decisioni sensate.
  5. Iniziare il gioco con una storia preconfezionata piuttosto che una situazione che i giocatori possano esplorare.
  6. Non impostare una corretta linea guida sull'ambiente del gioco. E' uno dei casi in cui la politica del "dì sempre di sì" risulta problematico; una vecchia gattara pazza, anche se divertente non c'entra un tubo in una partita con personaggi di 20° livello, quindi meglio scartare l'idea per un'altra occasione.
  7. Focalizzarsi troppo su sé stessi. Bisogna capire che essere il master significa offrire un servizio, quindi i giocatori devono essere sempre considerati al primo posto.
  8. Perdersi in dettagli inutili. Sì, la storia del tuo mondo può essere interessante, ma se ai giocatori non interessa (e non è necessaria ai fini della trama), non è importante.
  9. Permettere che non accada nulla in caso di fallimento. Piuttosto, complicare la situazione corrente. Ogni fallimento, invece di generare un "non succede nulla", dovrebbe dare origine ad una complicazione interessante. Se non si riesce a pensare ad una complicazione interessante in caso di fallimento, significa che non è necessario lanciare i dadi.
  10. Non costringere i giocatori ad effettuare lo stesso test, come furtività o individuare, ancora ed ancora finché non falliscono. Piuttosto, basarsi sul primo risultato. Il giocatore ha ottenuto un buon test in furtività? Consideratelo valido per tutta la scena, a meno di cambiamenti importanti. Effettuare gli stessi test in continuazione è noioso nonché ingiusto.
  11. Preparare uno scenario senza considerare l'input dei giocatori e poi obbligarli a giocare. Invece, chiedete ai giocatori che genere di partita vorrebbero giocare, e quali sono gli obbiettivi dei loro personaggi. Basate il gioco su questo. I giocatori dovrebbero perseguire gli obbiettivi che ritengono importanti, e devono essere ricompensati per questo.
  12. Lasciare che i giocatori (la frase potrebbe essere "lasciare che i giocatori vincano", "lasciare che i giocatori falliscano", "lasciare che i giocatori provino", "lasciare che i giocatori siano eroi/malvagi/ospiti di talk show/quellocheè", o qualsiasi altro "lasciare che i giocatori").
  13. Preoccuparsi più delle regole che della storia e dell'avanzamento del gioco. Ovvero: finché tutti si divertono al tavolo non è necessario che ogni lancio sia effettuato seguendo le regole alla lettera.
  14. Cercare di raccontare la propria storia anziché aiutare i giocatori a raccontare quella dei loro personaggi. Presupponendo di sapere quello che i giocatori faranno o, peggio ancora, forzarli a fare quello che la tua trama richiede. Perché allora non scrivere un racconto e leggerlo ad alta voce?
  15. Credere di poter "vincere" ad un gioco di ruolo. O solo pensare che si tratta di una competizione tra master e giocatori.
  16. Sembra che il modo migliore per trovare gli errori che stai facendo come master - novellino o meno - è quando ti ritrovi a chiederti "Come posso indurre i giocatori a..."

Siete d'accordo con tutto? Una domanda da tenere in considerazione è: Il master dovrebbe guidare la trama e creare una storia? O la storia dovrebbe nascere dalla collaborazione tra master e giocatori?

Traduzione dell'articolo
originariamente scritto da Andrew Girdwood

lunedì 20 luglio 2015

[RdL] La dimora dell’ultimo dei guaritori

(c) Richard Doble

Villaggio Uru-tan, mattino del 7° ahner crescente (1 maggio)

Grazie alle cure di Maya, al capovillaggio Keramon non occorre più di una giornata per rimettersi completamente in sesto. La mattina seguente, come promesso, il vecchio conduce la compagnia verso la dimora dell’ultimo dei guaritori.
Il bosco non è particolarmente insidioso, e grazie alla guida di Keramon e Peadok (il cacciatore che si era scontrato con Chaim) si procede piuttosto rapidamente.

Bosco Uru-tan, 7° ahner crescente (1 maggio)

Verso mezzogiorno il gruppo arriva al ciglio di un crepaccio. E’ largo approssimativamente venti metri e non è molto profondo - una quindicina di metri - ma sul fondo ci sono rocce irregolari. Poco lontano c’è un ponte di corda e legno. Entrambe le estremità del ponte sono state invase dai rampicanti, ed ha l’aria di non essere stato usato da moltissimo tempo.
Medòm testa una delle funi che compongono il ponte strattonandola. La fune si spezza senza opporre quasi resistenza. Evidentemente usare il ponte non è un’opzione.
Si valutano le varie possibilità. Scendere da una parete e risalire dall’altra richiede comunque una certa competenza nell’arrampicata, che non tutti posseggono. Qualcuno della compagnia è in grado di librarsi in volo, ma non è in grado di trasportare tutti. Potrebbe aiutare a tendere una corda tra i due lati della forra, ma anche in questo caso per sfruttare la corda tesa sarebbe necessaria una certa agilità, che non tutti posseggono.
Maya decide di invocare la conoscenza degli dèi, affinché la guidino per la via migliore. Si avviano tutti, sotto la sua guida, lungo il bordo del crepaccio. Verso l’imbrunire giungono in una zona dove l’altezza dal fondo è molto minore ed i fianchi sono agevoli da permettere l’attraversamento e la risalita dalla parte opposta. Ma oramai è scesa la notte, e la compagnia si accampa.
Durante la notte il gruppo viene visitato da un verro non esattamente amichevole. L’intervento di Kaisho e Peadok, che erano di guardia, neutralizza la minaccia senza permetterle di fare danni al campo. Quando finalmente inizia ad albeggiare nell’aria si diffonde un gradevole odore di arrosto.

Bosco Uru-tan, 7° tahner crescente (2 maggio)

Il cammino prosegue per tutta la mattinata, e poco prima di mezzogiorno la compagnia arriva al ponte di funi, dall’altra parte del crepaccio. Hanno perso un’intera giornata, ma almeno sono tutti sani e salvi.
Il cammino riprende sotto la guida di Keramon. Poche ore più tardi escono dalla foresta e si trovano dinnanzi ad una possente costruzione di roccia di forma piramidale, sovrastata da un obelisco senza fine (lo stesso visto da Kaisho). Alla base della costruzione c’è un’ampia entrata. Sulle pareti ai lati dell’ingresso ci sono due spessi bassorilievi semicircolari realizzati in oro. Lungo la loro semicirconferenza ci sono 7 pannelli metallici tirati a lucido, ed al centro un’enorme perla, più grande di una testa umana. Nonostante siano coperti da uno strato di sporcizia accumulatasi nei secoli, riflettono i raggi solari in tutte le direzioni. Il bassorilievo di destra ha un aspetto malmesso: i rampicanti l’hanno preso d’assalto da anni e l’aspetto è molto più “opaco”.
Alla visione dei preziosi bassorilievi la contessa si lascia sfuggire un’esclamazione deliziata, e fa un passo verso quello di sinistra. Ma all’improvviso dall’interno delle pareti giunge un suono metallico di leve, ingranaggi e verricelli. Il bassorilievo si stacca dalla parete, e dalle sue spalle spuntano due arti metallici snodati che poggiano a terra e lo sollevano come fossero delle gambe. Altri due arti metallici simili spuntano ai lati a mo’ di braccia. L’automa, alto tre metri, incede minaccioso verso la compagnia.
Prima di avere il tempo di reagire, un raggio di luce si riflette su una piccola pietra incastonata nella maschera di Keramon. Il raggio di luce riflesso colpisce l’enorme perla dell’automa - anche se sembra che il riflesso sia attirato dalla perla. L’automa immediatamente si ferma, e goffamente si prostra di fronte al capovillaggio, restando immobile.

Dopo che tutti si sono ripresi dallo spavento, la compagnia decide di esplorare il tempio. Nonostante la sua struttura sia molto massiccia, poche aperture ben piazzate garantiscono un’illuminazione eccellente. Evidentemente chi l’ha costruito ha saputo sfruttare al massimo la riflessione e rifrazione della luce.
In breve tempo la struttura viene ispezionata senza risultato, a parte un’unica stanza chiusa da una pesante porta di legno. Tutti, e Maya in modo particolare, percepiscono una forte energia negativa provenire da dietro la porta. La donna sciamano, per buona misura, decide di invocare le sue divinità per generare un’onda di energia positiva. E la cosa dietro la porta non gradisce.
Un urlo disumano fa tremare le spesse pareti della struttura, e tutti istintivamente si portano le mani alle orecchie. Con un’esplosione la porta viene divelta dall’interno, sfiorando Peadok prima di schiantarsi sulla parete alle sue spalle. Una figura di oscurità solida alta quasi tre metri si erge dove prima era la porta. I lineamenti sono sfuocati, a parte due occhi di furia color della brace. Alza una mano, e quando pronuncia parole arcane dei tentacoli di oscurità, eruttati dal terreno, si avvinghiano ai presenti. Come intangibili sanguisughe demoniache drenano la forza di volontà delle loro vittime, lasciando i presenti in preda ad una disperazione crescente.
Mentre Kaisho cerca di convincere Chaim a farsi dare Zaradal, Maya prova ad usare un’altra invocazione, ma non riesce a concentrarsi a dovere. Peadok tenta la fuga, solo per scoprire che la via di uscita è chiusa da rampicanti. Invece di tentare di aprirsi un varco, torna sui suoi passi per affrontare lo spettro, ma inciampa e cade rovinosamente. Il dr. Zanoch decide di ripagare lo spirito con la stessa moneta, ed attiva un potere psicoscientifico che gli permette di assorbire l’energia spirituale dell’avversario. Riesce nell’intento, ma è come tentare di svuotare uno stagno con un secchio. Gli altri, in preda alla disperazione, tentano di nascondersi.
Intanto Kaisho ha convinto Chaim, e con Zaradal in pugno si avventa verso l’ombra. Ma anche lui inciampa e, cadendo, fa volare la spada lontano.
All’improvviso uno schianto, seguito da un familiare rumore meccanico. Il costrutto incontrato all’ingresso del tempio è entrato nella stanza, sfondando i rampicanti che bloccavano il passaggio come fossero fuscelli. I pannelli metallici che fanno da “corolla” alla testa dell’automa si inclinano in modo da catturare la luce e rifletterla verso l’enorme perla al centro. Questa si carica alcuni istanti, poi proietta un potente raggio luminoso verso lo spettro. La creatura oscura, colpita in pieno, emette un altro grido carico di sofferenza. L’energia negativa dello spirito viene consumata dalla luce, fino ad essere completamente annullata. Il grido cessa con un suono come di risucchio, e nello stesso momento dall’interno dell’automa giungono stridii e crepitii sinistri. L’automa all’improvviso si blocca, emettendo una nube di fumo nero.
Dello spirito non c’è più traccia.

lunedì 6 luglio 2015

[RdL] Non tutto ciò che è male vien per nuocere

(c) by Arman Akopian

Villaggio Uru-tan, pomeriggio del 6° tehner crescente (29 aprile)

La compagnia - come di consueto - è intenta a discutere sul da farsi, quando entrano tre donne con delle ciotole. Si avvicinano a Chaim con l’intento di cospargere il suo corpo di una sostanza oleosa. Maya traduce le parole delle donne: si tratta del rituale di preparazione alla sfida.
Chaim, prima di parlare con il capovillaggio Keramon, ha avuto una discussione con uno dei cacciatori della tribù, durante la quale è emerso che il brone non era degno di portare i colori di caccia. Chaim allora lo ha sfidato, ma sembrava che la cosa fosse morta lì.
Le donne se ne vanno, ed alcuni minuti dopo la cerimonia ha inizio.

La tribù è raccolta in cerchio. Al centro c’è il cacciatore uru-tan, in attesa dello sfidante. Keramon sta invocando la saggezza delle divinità affinché siano testimoni della sfida. Chaim si fa avanti, ed il combattimento ha inizio.
Il brone è addestrato all’uso di molte armi, ma non è particolarmente abile nel lottare a mani nude. Sferra un primo attacco, ma l’uru-tan lo schiva con agilità felina, senza contrattaccare.
Nel frattempo Kaisho, non visto, approfitta della distrazione per frugare nelle capanne.
Chaim attacca nuovamente, e questa volta l’uru-tan per un pelo non viene colpito dalle pesanti mani del brone. Il piccolo cacciatore decide di contrattaccare. Rapido come un serpente afferra il braccio dell'avversario e glie lo torce dietro la schiena. Chaim si aspetta un dolore lancinante, che stranamente non arriva. Anche l’uru-tan sembra sorpreso, ed applica sempre più forza alla torsione. Chaim non sembra essere a disagio, ed anzi riesce a liberarsi dalla presa. L’uru-tan fa un passo indietro, perplesso. Il brone decide di puntare sull’intimidazione piuttosto che sulla forza bruta. Lancia un grido portentoso, e quindi colpisce violentemente il terreno con un pugno. Il colpo, le cui vibrazioni sono percepite attraverso il terreno da tutti i presenti, avrebbe spezzato il braccio di chiunque, ma Chaim, ancora una volta, non si accorge di nulla. L’uru-tan si rende conto che il brone è un avversario al di là della sua portata, e si arrende cadendo in ginocchio.
Tra le grida di esultanza, Chaim viene dipinto dei colori di caccia, e viene approntato un banchetto di festeggiamento.

Villaggio Uru-tan, sera del 6° tehner crescente (29 aprile)

Dopo il banchetto, quando ancora alcuni giovani stanno danzando, Maya parla con il capovillaggio. Egli ha capito subito che la ragazza è una kebukte, ed anzi si meraviglia di come possa viaggiare con degli individui così avidi.
Maya spiega che è nel disegno degli dèi se si è unita a questa compagnia. Dice di essere molto preoccupata per il villaggio, e si offre di formare uno dei giovani affinché divenga un guaritore.
Keramon teme che oramai non ci sia più speranza per il villaggio, ma visto che si è dimostrata così disponibile si offre di accompagnarla nel luogo sacro dove dimorava l’ultimo dei guaritori. La mette in guardia: le leggende dicono che l’ultimo dei guaritori sia morto a causa di uno spirito maligno che tutt’ora infesta quel luogo. Inoltre fa promettere alla kebukte di non rivelare agli altri l’ubicazione di quel luogo. Maya accetta con gioia.

Villaggio Uru-tan, alba del 6° enhor crescente (30 aprile)

Delle grida angosciate svegliano di soprassalto la compagnia.
In molti sono ammassati attorno alla capanna del capovillaggio. La compagnia viene presto informata che Keramon e le sue due mogli sono morti nella notte.
Maya non esita ad agire. Si fa largo tra la folla ed entra nella capanna. Sotto gli occhi attoniti degli uru-tan, inizia a formulare le antiche parole per invocare i poteri degli dèi. Si avvicina alle labbra dell’anziano, e ponendosi come tramite di Kamui soffia gentilmente un alito di vita nel corpo del vecchio. Che riprende a respirare.
Il villaggio viene percorso da un’ondata di gioia, e tutti iniziano a urlare “Kamuyuk Maya! Kamuyuk Maya!” (Maya portatrice di vita!)
Dopo alcuni momenti di emozione, Maya torna in sé, e chiede al vecchio - debole ma vigile - cosa sia successo. Keramon è convinto di aver bevuto dell’"acqua cattiva", ma non sa come è potuto accadere. Sospetta che una delle mogli, per sbaglio, abbia lasciato cadere del veleno in una brocca, che poi è stata usata per raccogliere l’acqua.
Maya porta la brocca al dr. Zanoch per fare delle indagini, ma Kaisho viene colto da uno dei suoi “momenti di follia” e distrugge la brocca - e con essa tutte le eventuali tracce.
Maya torna allora alla capanna del capovillaggio, ed usa altre invocazioni per rimetterlo in forze. Keramon le dice che, nonostante sia da tutti considerato il più saggio, si è dimostrato sciocco a non aver compreso prima il valore della kebukte, e che evidentemente - che ne sia conscia o meno - è lei la guida della compagnia. In virtù di questo si offre - non appena si sarà rimesso in forze - di accompagnare non solo lei ma tutta la compagnia alla dimora dell’ultimo dei guaritori.